Cosa successe a quei famosi 245 milioni di euro sequestrati durante le indagini dell’intricato processo che vedeva Alessandro Profumo indagato, insieme a una ventina di suoi collaboratori, nel caso Brontos inerente una max frode fiscale che, secondo gli inquirenti, avrebbe messo a punto? Ad occuparsene, a suo tempo, furono i giudici milanesi, che, anche se contro tutte le previsioni, decisero, purtroppo, di dissequestrare il capitale considerato in un primo tempo una specie di “risarcimento” per il maltolto.
Purtroppo non fu così a un attento esame delle norme riguardanti le frodi fiscali, appunto. Il motivo principale? Estremizzando il concetto e stando a quanto depositato dai giudici del riesame, Profumo, non avrebbe “la disponibilità' dei beni della società” Anche perchè lo stesso manager, al momento del sequestro a carico di Unicredit, non era più inserito nell’organigramma della banca, cosa che, di fatto, non permetteva nessun prelievo all’interno del capitale dell'istituto. Unicredit, infatti, si era trovata al centro di una situazione estremamente complicata visto che i suoi vertici, poi dimessisi, avevano creato una presunta frode ai danni dello stato e per questo motivo i giudici avevano deciso, prima volta in italia, di calcolare il danno creato e riottenere il patrimonio sottratto, svolgendo l’operazione a carico della banca stessa. In questo caso Unicredit.
Ma mentre i magistrati sono stati ritenuti idonei a portare avanti le indagini (anche perchè nel frattempo si era creato in casus belli per la competenza territoriale in contrasto con quelli di Bologna), l’istituto è stato considerato come entità diversa dagli indagati i quali non dispongono dei beni sociali. Scegliendo questa tesi, i giudici, hanno di fatto accolto le richieste dei rappresentanti di Unicredit i quali, ovviamente,si erano opposti al provvedimento di risarcimento che, ripetiamo, in Italia era stato il primo, riconoscendo quindi anche la responsabilità della banca stessa in caso di maltolto da parte dei suoi vertici. Ebbene, in questo caso la strada si è interrotta e il potenziale precedente creatosi è stato di fatto cancellato. Il tutto si va ad inquadrare in una cornice sempre più infuocata di rapport tra gli istituti di credito e il pubblico, sempre più diffidente verso società che alla fine dei conti, operano su scala mondiale con capitali spesso esagerati, portando il rischio ai massimi livelli. Rischio che poi, alla fine, pagano i correntisti. Non contenta di essere riuscita a rientrare in possesso dei 245 milioni di euro inizialmente sequestrati dalla magistratura Unicredit parlò poi addirittura di sanzioni. Queste le intenzioni che poco dopo la vicenda, fece il numero uno dell’istituto Federico Ghizzoni, parlando addirittura di “trattative con l’Agenzia delle Entrate” senza però commentare nello specifico le future mosse.
Ma mentre i magistrati sono stati ritenuti idonei a portare avanti le indagini (anche perchè nel frattempo si era creato in casus belli per la competenza territoriale in contrasto con quelli di Bologna), l’istituto è stato considerato come entità diversa dagli indagati i quali non dispongono dei beni sociali. Scegliendo questa tesi, i giudici, hanno di fatto accolto le richieste dei rappresentanti di Unicredit i quali, ovviamente,si erano opposti al provvedimento di risarcimento che, ripetiamo, in Italia era stato il primo, riconoscendo quindi anche la responsabilità della banca stessa in caso di maltolto da parte dei suoi vertici. Ebbene, in questo caso la strada si è interrotta e il potenziale precedente creatosi è stato di fatto cancellato. Il tutto si va ad inquadrare in una cornice sempre più infuocata di rapport tra gli istituti di credito e il pubblico, sempre più diffidente verso società che alla fine dei conti, operano su scala mondiale con capitali spesso esagerati, portando il rischio ai massimi livelli. Rischio che poi, alla fine, pagano i correntisti. Non contenta di essere riuscita a rientrare in possesso dei 245 milioni di euro inizialmente sequestrati dalla magistratura Unicredit parlò poi addirittura di sanzioni. Queste le intenzioni che poco dopo la vicenda, fece il numero uno dell’istituto Federico Ghizzoni, parlando addirittura di “trattative con l’Agenzia delle Entrate” senza però commentare nello specifico le future mosse.